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La mattina, dopo aver accompagnato il piccoletto a scuola, mi fermo al parchetto di fronte per far correre un poco Cicoria prima di farle passare la giornata a casa o in ufficio.

A volte il piccolo parco, che è gestito dalla Chiesa adiacente, è chiuso. (una volta dovrò scrivere di questi giardini dell’Aventino, entrarci ti porta indietro nei secoli e l’affaccio dalla rupe ti avvicina ai gemmelli che dovevano decidere da quale parte fondare la loro città)

Allora riprendo la macchina ed andiamo al parco della Casa del Jazz. E’ dall’altra parte di Viale Aventino, passata San Saba e la Porta delle  Mura Ardeatine. E’ una struttura voluta dall’Amministrazione Veltroni e realizzata su una proprietà confiscata ad uno dei boss della Banda della Magliana, Enrico Nicoletti. Lui era il “cassiere” ed acquistò la villa dal Vicariato di Roma. La fece ovviamente ristrutturare compiendo numerosi abusi edilizi, neanche a dirlo. Quando fu affidata al Comune di Roma venne ripristinata la pianta originale del 1936, trasformata in auditorium per il jazz, ed il bellissimo parco fu aperto al pubblico. E’ poco conosciuto ed appartato e passeggiarci la mattina da un senso quasi di possesso. Quasi come essere nel giardino di una propria villa. Non aveva gusti malvagi in fatto di abitazioni il caro Nicoletti.

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Ci sono periodi della vita in cui mi sono sentita trasparente, invisibile. Ora vorrei esserlo. Specialmente la mattina, quando il groppo che ho in gola da appena sveglia ancora non si è diluito. Ed ho paura di salutare le persone che incontro, le altre proprietarie di cani, le mamme di scuola, perchè temo la mia voce esca bagnata dalle lacrime che ingoio. Ma trasparente non sono, e neanche così brava ad evitare il resto del mondo, che sembra vada avanti comunque nonostante il mio tentativo di bloccarlo.

Da domani avrò cambiato casa. Ancora non fisicamente, ma contrattualmente si. Non assomiglierà a questa Villa, ma avrà un piccolo giardino. Non sarà su uno dei Colli più prestigiosi di Roma ma in una delle periferie meno lontane e meno degradate. Una di quelle zone dove le persone come me che non rubano e lavorano normalmente pagando tutte le tasse riescono a trovare ancora affitti umani per questa città che è nuovamente stata saccheggiata. Non dai Barbari, stavolta, ma da politici e banchieri.

L’ho cercata, l’ho vista e nel giro di una settimana ho deciso. Senza più dormire la notte, ovviamente, al pensiero del cambiamento di vita. Lascio la casa dove vivo da ventidue anni. La strada dove vivo da ventisette. Non ci sono sampietrini di cui non conosco gli angoli.

Senza essere patetica mi sono ripromessa di tornare ad abitare al centro di Roma quando le mie condizioni di vita saranno cambiate. Tutte. Perchè questo non deve essere il mio ultimo giro di giostra. Perchè non voglio continuare ad arretrare. Voglio fermarmi, le spalle appoggiate ad un muro solido e tentare di fare il giusto balzo per superare questo pantano viscido in cui sono invischiata.

Anche io vorrei condividere le mie notti insonni piene di pensieri, le mie scelte difficili, i momenti di cambiamento, con quel qualcosa che pensavo di avere e che invece forse non c’è mai stato. E mi chiedo come sarebbe stato decidere in due, come cambiare e dove andare.

A volte mi guardo indietro e mi dolgo di non essere stata più brava, e penso che meglio di questo strazio sarebbe tornare al prima. Ma so che di nuovo vorrei qualcosa che non posso avere. E non ho scelta. Io non ce l’ho.

IMG_0682Succede così a Roma. Una mattina ti alzi e all’improvviso è scoppiata la primavera. ma non una primavera tiepidina e timida. Una gagliardissima primavera piena di calore e fiori. Una primavera che magari dura un giorno ma che butta tutti fuori casa.

Io oggi mi sono fermata. Per un giorno, da settimane, non ho quasi lavorato. Solo qualche mail e aggiornamenti web. Ho messo il guinzaglio a Cicoria e siamo uscite in passeggiata.

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Primo pensiero. Se ci credi e se sei tenace c’è un posto anche per te. Anche se a volte sembra che tutto quello che fai viene preso come dovuto, anche se sembra che solo esistere è una impresa difficilissima, è invece possibile che anche nel cemento ci sia uno spazio per le foglie che stai tirando fuori.

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Cammino a lungo, come spesso accade. Passo da Ponte Sant’Angelo. Ci sono orde di turisti e qualunque tipo di vucumprà. Mi sento come Gesù nel Tempio ed urlando allo scempio butterei a terra tutti gli occhiali, collanine, orecchini, borse, cover di cellulari, che sono ammonticchiati sui cartoni ai lati del ponte, e butterrei a fiume, ancora pieno grigio e limaccioso,  quasi tutti i suonatori di chitarre elettriche e tamburi e pianole che occupano lo spazio restante.

Ma resisto all’impulso e porto Cicoria a correre sotto al Castello.

Niente da fare. Orde di turisti panino-muniti bivaccano nei praticelli, sdraiati al sole. Ci rifugiamo nel lato più stretto. Sembriamo due esiliate. Lei però incontra cani ed è felice. Io sempre di più avverto il peso della stanchezza e mi rabbuio al pensiero di una ennesima domenica passata in compagnia della mia fedele cagnetta.

Basta, esco dal fossato di Castel Sant’Angelo e continuo a camminare, spinta dalla necessità di liberare energie represse in settimane di sedentarietà lavorativa. Arrivo a Borgo. E’ ora di pranzo e vedo famiglie ai tavolini, famiglie in giro con pizze ripiene, famigliole in vacanza a Roma che si siedono all’ombra e sorridono di tutto il bello che riescono a prendere con gli occhi.

Un pensiero molesto mi segue da giorni, ma oggi mi faccio raggiungere. Complice la stridente colonna sonora di Teho Teardo e Balanezcu Quartett che dalle cuffie mi inonda il cervello. Passo sotto un albero fiorito. E’ lo stesso che ho fotografato quasi un anno fa, tornando da una notte che mi dava una idea di futuro felice, sconfessato solo dopo poco più di un’ora. Neanche un anno fa. Eppure una vita fa.

La musica non mi dà tregua mentre cammino tra i turisti incerca di una trattoria. E  il pensiero va ad un’auto familiare in giro sulle colline toscane.  Decido di non fare più finta di niente, mi lascio inondare da quei sentimenti che normalmente cancello. Rivedo gli occhi dubbiosi della mia amica mentre le racconto il mio segrete. Le sue parole artificialmente rassicuranti su come tutto alla fine prenderà la giusta strada. Le stesse parole che direi a chiunque al mio posto, pur non credendoci affatto. Ma io SO che prenderà la giusta strada, e glielo dissi. E dunque perchè ora questo pensiero molesto mi invade e mi addolora?

Torno a casa. Mangio. Dormo. Al risveglio ho bisogno di nuovo di correre fuori casa. Di muovermi, camminare veloce, cercare posti dove lo sguardo possa spaziare.

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Roma ha una risorsa impagabile, le Ville. Oggi mi spingo fino a Villa Borghese. Camminando per il centro di nuovo ho difficoltà a farmi largo tra i turisti che invadono le strade. Mi auguro che ai commercianti romani questo porti qualcosa di buono. Arrivo a Trinità dei Monti che è quasi il tramondo. Cicoria oramai è il mio alter ego. Niente musica nelle cuffie. ormai non la reggerei più.Il pensiero molesto oramai si è impadronito completamente di me. Camminando libero tossine e cerco di usarlo. Se non posso far finta che non esista, e se affrontarlo mi fa così male, devo cercare il modo di usarlo.

Il sole che tramonta su Roma libera in me un sentimento di meraviglia.

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Il privilegio di avere questa meraviglia mi fa sentire una regina. Cammino tra i turisti con la consapevolezza che loro tra poco, scattate le foto, ripartiranno, mentre io potrò passare e ripassare queste immagini ogni giorno in cui sarò disponibile a salire qui e a lasciarmi catturare dalla bellezza.

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Tutto il resto, vita, movimenti, cambiamenti, persone, amore, lavoro, prenderà la strada che deve. Io so di avere un cuore grande, e di saper affrontare qualunque cosa con tutto l’amore che il mio grande cuore contiene. Come suggeriva un padre saggio ad un’amica blogger, qualunque cosa fatta con amore ha un altro valore.

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bollywood2Questa sera, dopo una giornata a tornado iniziata alle sette e non ancora finita. Dopo aver mollato finalmente l’ufficio alle 19 sapendo che domattina ci dovrò tornare. Essendo arrivata al settimo giorno senza nicotina e con un sacco di buonissimi motivi per accendermi una sigaretta, e – evidentemente – almeno alcuni buoni motivi per non farlo (no, scusate, sarà la crisi di astinenza ma devo dirlo, sono arrivata alla paranoia decidendo di smettere senza nessun aiuto chimico, in un momento un po’ di merda, e tenendomi un pacchetto di sigarette a casa per dimostrare quanto oramai ho deciso, da ricovero).

Dicevo questa sera, dopo ciò, sono andata al Quirinetta dove c’è una rassegna imprendibile: Bollywood a Roma!bollywood

Una rassegna partita stasera che finirà il 9 dicembre con una serie di film indiani, tra i più premiati nei festival internazionali. La rassegna è in coincidenza con la mostra alla Fondazione Roma in via del Corso “Akbar, il grande Imperatore dell’India” allestita fino al 3 febbraio.

Quindi stasera sono andata alla proiezione del primo film della rassegna, avendo saltato purtroppo un documentario mitico sulla più grande industria cinematografica del pianeta. Proiettavano “Jodhaa Akbar” una mega produzione del 2008 sulla vita, appunto, di questo grande imperatore Mogul che ha governato l’India dal 1556 al 1605, passando alla storia come un sovrano illuminato, famoso per la tolleranza e la sua propensione all’integrazione tra le diverse religioni. Tutti sanno quali gravi problemi danno le lotte tra indù e mussulmani in alcune regioni dell’India. Beh lui per portare la pace nel paese sposò una principessa  hindu, Rajput Jodhaa.

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Un filmone epico lungo tre ore e mezza, di quelli che solo chi ama Via col Vento può capire.

Come ha detto la curatrice della rassegna, è stato curato nei minimi dettagli, ha costumi pazzeschi, gioielli epocali, arredi stupendi, e contiene un trenta per cento di eventi storici e il resto di fantasia.

Con un cast composto dai più famosi attori del cinema indiano, tra cui ovviamente i protagonisti, due star di Bollywood, Hrithik Roshan, lui – faccia un poco fessa ma corpo scolpito da urlo, e Aishwarya Rai Bachchan, lei – semplicemente divina.

Inutile che vi sto a dire che nella rievocazione storica, il centro di tutto è la storia d’amore che nasce finalmente tra i due, dopo essere stati sposati per questioni politiche. Tre ore e mezzo a sospirare per un bacio, che i due comunque non si daranno perché in India non è concesso. Ma la sensualità e l’erotismo riescono comunque a venir fuori dai gesti e dagli sguardi e dai modi e dalle frasi che i due si scambiano. Insomma un grande film, per chi ama il genere, ma in assoluto una bellissima serata di emozioni.

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Ho conosciuto Marichia alcuni mesi fa. Ero capitata per caso ad una presentazione del progetto REFUGEE scART che lei ha ideato e portato avanti sostenuta dal Alto Commissariato delle Nazioni Unite per Rifugiati (UNHCR) in collaborazione con il Centro Astalli e da Laboratorio 53. Mi sono subito fatta conquistare dall’energia e dallo spirito di iniziativa di questa donna, che ha creduto nella possibilità di dare lavoro ai rifugiati arrivati in italia da diversi paesi dell’Africa. Persone con alle spalle un viaggio incredibile durato a volte anni, costrette a lasciare il loro paese, la loro famiglia,  ancora senza uno status e senza nessun tipo di sostentamento.

Lei ha visto negli enormi cumuli di immondizia di Lampedusa mostrata da tutti i TG nel mondo, un grande tesoro.

Grazie alla sua esperienza, maturata a Los Angeles e in Vietnam,  da questi rifiuti – plastica, gomma, bottiglie – ha insegnato ad un gruppo di uomini e donne a ricavare oggetti: borse, collane, bicchieri, orecchini. Oggetti colorati, belli, utili, di grande effetto.

Da più di un anno  gli artigiani di REFUGEEscART raccolgono materiale di scarto, lo lavorano, creano i loro prodotti e li vendono. Riciclando circa 250 Kg di “monnezza” al mese, con grande beneficio quindi per la comunità che li ospita. Il 100% del ricavato va a loro. Un piccolo stipendio che li aiuta a vivere in attesa di avere la possibilità di un inserimento lavorativo nel nostro paese. Oltre al sostentamento queste persone hanno avuto la possibilità di non restare ogni giorno in strada, di creare dei legami con altre persone che hanno una storia simile alle spalle e con persone che invece in Italia ci sono nate e cresciute.

www.refugeescart.org

Un piccolo progetto, che però sta crescendo e che ha avuto incredibili risultati. Un progetto nato a Roma ma che può essere facilmente replicabile in altre città e che dimostra come con una piccola idea e tanta energia si può trovare una strada per la vera accoglienza e integrazione.

In tanti hanno visto, come me, la forza di questa idea, e quindi insieme ad un’amica regista e un amico operatore abbiamo deciso di cercare di dargli visibilità attraverso degli spot, girati con volti famosi che facessero da Testimonial.

Questo fine settimana, sabato 24 e domenica 25, (e probabilmente anche il prossimo) a Roma Via Paolo Mercuri, 8 00193 Roma (Piazza Cavour) dalle 1o alle 20 sarà possibile incontrare gli artisti ed acquistare gli oggetti che hanno prodotto, insieme a quelli altrettanto belli che arrivano da Vietnam e Cambogia. 

Non è beneficenza. E’ decidere di dare un valore all’acquisto di un regalo, scegliendo un oggetto che ha eliminato materiale di scarto, che è bello, che permette il sostentamento di una persona arrivata nel nostro paese senza nulla con se se non la speranza di crearsi una opportunità di vita.

Qiundi invito tutti gli amici romani a venire e a passare l’invito ad altri amici.

Mi sveglio come al solito con il mal di schiena. L’osteopata mi disse che dipende molto spesso da quello mangio o bevo la sera. E’ probabile. Comunque faccio  fatica la mattina ad alzarmi, a qualunque ora mi svegli. Tento di poltrire un po’. Ma non appena mi muovo nel  letto gatti e cagna mi sentono e non mi danno pace finchè non mi alzo. Cibo. Per loro è tutto legato al cibo. Per la cagnetta è anche questione di pipì. Con grande fatica, mi faccio un caffè e poi mi infilo un pantalone e una maglia e la porto  giù. Il cielo era sereno ma vedo in arrivo grossi nuvoloni. Ieri sera avevo deciso di partire per la montagna, ma questo tempo mi blocca il desiderio. Penso alla casa fredda, chiusa da settimane. Non ho voglia di andare da sola e in questi giorni sarò senza figli. Dovrei portare delle cose e andare a svuotare i tubi dell’acqua prima che arrivi il gelo. Ma mi sa che aspetterò la prossima settimana. Sì. Torno a casa e apro il computer. Ho ricevuto molti messaggi. Mi fa piacere. Il cellulare invece è muto. Il mio amore è lontano. Non riusciamo a conciliare  i nostri tempi. Non so quando ci rivedremo. Sapevo dall’inizio che sarebbe stato così. Ma ora mi pesa. Passo del tempo a scrivere. Non succede spesso che la mattina mi metta al computer, non è nell’ordine delle priorità, ma oggi mi rallegra. Ad un certo punto però sento bisogno di muovermi. Prendo il guinzaglio ed esco con la cagna. Solito giro e poi verso il giardino di Castel Sant’Angelo. Come quando avevo i figli piccoli la cagnetta mi porta a cercare gli spazi verdi, dove può correre liberamente. Mi costringe anche a camminare molto, e questo è bene. Ci fermiamo un poco ai giardini e poi sento ancora il bisogno di muovermi. Camminiamo a lungo, intorno al Castello e poi ancora avanti oltre San Pietro nelle spine di Borgo. Ancora oltre verso le Milizie. Poi mi fermo. Non è più bello qui. Troppa gente. Fiumi di turisti che sciamano verso San Pietro. Troppa confusione, non si riesce quasi a camminare. Rifaccio il giro da Borgo e si torna a Castello. Il telefono è ancora muto. Brutto segno. Non so se per quello che è andato a risolvere nel suo viaggio o per il nostro menage. Forse per entrambi. Parlo brevemente con la ventunenne. Mi sente strana. E’ fuori Roma con amici, la tranquillizzo. Chiamo la mia amica che mi aveva cercato ieri sera. Non avevo risposto, non mi andava di chiacchierare. Ora, camminando  per le vie del centro mi faccio raccontare le sue storie. Ormai è tanto che siamo in giro e con i ritmi della cagnetta abbiamo un passo molto veloce. Inizio ad essere stanca. E’ ora di pranzo. Non ho molta fame, in verità. Solo quando sono in ascensore e mi vedo nello specchio, mi rendo conto di che razza di faccia slavata ho. Niente trucco, capelli strani. Do’ le spalle allo specchio e me ne frego. Dovrei approfittare oggi che sono a casa, per darmi una ripulita. Farmi una ceretta, tagliare le pellicine alle mani. Ma non ne ho voglia. Lo farò domattina. Apro il frigo. Non ho voglia di cucinare. Taglio qualche fetta di Speck. Non c’è pane. Trovo dei taralli in una bustina di qualche mese fa. Sono un po’ orrendi ma commestibili. Mangio guardando un TG e aggiornando di nuovo i messaggi sul pc. Mi concedo mezza birra, mi farà venire sonno ma meglio così. Mi porto a letto un libro che dovrei rileggere, non  mi va. Riprendo quello che sto finendo. Non è bello. Un romanzo di un’autrice siciliana che racconta di una giovane donna contadina sposata ad un anziano barone ai primi del novecento. E’ un po’ sensuale, a tratti erotico. Con un intercalare siciliano. Ha tutti gli ingredienti per un best seller. Ma niente di che. Un regalo. Leggo un poco e poi dormo. Mi sveglio di soprassalto con la cagnetta che abbaia. Sicuramente il mio vicino di casa che esce. Lei pensa che il pianerottolo sia nostro e sorveglia i suoi movimenti. Sono ancora più stordita di stamani. Mi faccio un altro caffè. Il cellulare non mi dà notizie. Riaccendo il computer. Oggi è una giornata particolare. Continuo a scrivere e rispondere a messaggi. E’ quasi elettrizzante. Mi sento vagamente autistica. Non apro bocca da ore. Pazienza. Finalmente sento il bip di un messaggio al telefono: “Mi manchi”. messaggio un po’ laconico. Rispondo laconica: “Manchi tu di più” Senza accorgermene passo un’ora a leggere e scrivere. La cagnetta inizia a ridarmi il tormento. Si, meglio così. Devo fare qualcosa. Scuotermi da questo torpore. Un amico mi da un suggerimento su un film da vedere assolutamente. Guardo la cagnetta. Decido di fare un’altra passeggiata con lei. Stavolta vado verso il Pantheon. Ci fermiamo da Feltrinelli, ma di sabato pomeriggio, con lei è un problema girare per libri. Decido di andare a fare un aperitivo dall’amico libraio, che per non chiudere ha trasformato la libreria in un biblio-bar. Passo davanti ad un’altra libreria storica che chiuderà tra pochi giorni. C’è la vendita di chiusura con i libri al cinquanta per cento. Che tristezza. Però mi irrita leggere il cartello “Si sfratta la cultura”. Lo sfratto da parte di un privato non è uno sfratto alla cultura. E’ solo questione di Business. Basta dirlo. Non si riesce a pagare l’affitto di un negozio dietro la Minerva con la vendita di libri. Questo è quanto. Le librerie stanno chiudendo. Da Feltrinelli non si riesce ad entrare. Questo è quanto. Arrivo al Collegio Romano e mi fermo. E’ tanto che non vedo l’amico libraio e oggi non ho voglia di chiacchierare. Torno indietro. faccio il giro dal Teatro Valle. Solita situazione. Dentro stanno facendo qualche spettacolo e fuori sembra l’ingresso di un basso. Non so perché il più bel teatro storico romano debba essere in questo stato. L’occupazione è stata un gesto forte, ma è passato più di un anno e un piccolo gruppo si è impossessato di un teatro pubblico in un edificio storico. Non so in quale altro posto questo sarebbe tollerato per così tanto tempo.  E’ ora che torni a casa. Ho voglia di mangiare cibo fresco. Passo al supermercato e decido per straccetti e insalata con avocado e carciofini. Compro anche del pane e del vino. Un novello delle Dolomiti e un rosso toscano. Stasera scriverò il mio post e poi finisco il libro della siciliana. Il mio amore scrive che mi ama. Mi manca.

Oggi pomeriggio sono uscita dall’ufficio. Sono passata a prendere la cagnetta che avevo lasciato a casa qualche ora prima e ho tentato di farle fare una pipì nel cortile. Ma c’era una cucciolotta di tre mesi, Frida, che sembra non aspetti altro che incontrare lei ogni volta che scende, e così distratta com’era, ho capito che di pipì non se ne parlava proprio. Quindi l’ho fatta salire in macchina con la vescica ancora piena e sono andata verso la scuola del piccoletto. Siamo arrivate proprio sul suono della campanella. Ho trovato un posto per parcheggiare, lontanuccio.  In mezzo ad un’orda di turisti su certe minibighe elettriche che oramai hanno invaso tutto il Centro, in fila per andare a sbirciare il Cupolone dall’antica serratura di una porta di una delle vecchie chiese di Roma. Di corsa ho preso il piccoletto e ci siamo fermati cinque minuti nel giardino di fronte scuola per la famosa pipì. Poi, sempre un po’ correndo abbiamo ripreso la macchina e l’ho accompagnato alla palestra di KungFu. Lasciato lui ho rimesso la cagnetta nella macchina che avevo lasciato in doppia fila e siamo arrivate al parco. Lì, dopo aver di nuovo cercato un parcheggio non troppo lontano, finalmente l’ho potuta lasciare un poco libera  di correre e dare la caccia a passerotti e cornacchie. Quindici minuti. L’ho riagganciata al guinzaglio e via di nuovo in macchina verso la palestra. A quel punto ero circa cinque minuti in anticipo e mi sono fermata ad aspettare nel piccolo cortile della palestra. Come me c’erano tanti altri genitori, o nonni, o zii, insomma adulti che aspettavano l’uscita dei piccoli Ninja per proseguire poi la giornata. Pensavo a cosa dovevo comprare al supermercato, a cosa preparare per cena (ogni giorno a questo punto ho un buco nero) e mi guardavo intorno.

E poi all’improvviso ho avuto un flash.

Uno di quei momenti in cui tutto sfuma, il tempo rallenta e ti sembra di essere sospeso su un Dolly che fa una panoramica in campo lungo, e tu vedi tutto dall’alto, anche te stesso.

E mi sono chiesta. Ma è necessario tutto ciò. O meglio. E una vita normale questa? In cui concentri in due ore così tante energie per fare cose che in un altro luogo o tempo sarebbero solo un corollario, un automatismo, intorno a tante altre azioni fatte con lo stesso impegno?

Se io vivessi, per esempio, in un ambiente rurale. Dove il piccoletto uscito da scuola non avesse bisogno di palestre per sfogarsi dopo otto ore di immobilità, ma potesse correre in un prato intorno a casa, arrampicandosi sugli alberi e giocando con amici o animali in piena libertà. E dove la cagnetta, ma anche i miei claustrofobici gatti, potessero entrare e uscire da casa quando vogliono, e scorrazzare in giro defecando e spisciacchiando dove gli pare, come natura vuole. In tutto quel tempo lì io quante cose potrei fare?

Potrei preparare una merenda per i figli e gli amici dei figli, magari anche un bel pane e nutella (a quella non si rinuncia mai) ma con il pane fatto in casa, come facevo quando ancora non avevo ripreso a lavorare. Oppure potrei continuare a lavorare con la mia connessione WiFi (non demonizziamo la tecnologia) evitando di trascinarmi con i sensi di colpa per aver dovuto interrompere le attività a metà pomeriggio.

O se proprio fossi troppo fortunata potrei stare distesa su una poltrona a leggere un libro di ricette per trovare qualche idea gustosa per la cena evitando di arrivare a propinare pesce surgelato o stracotti come al solito, e riuscendo ad organizzare magari anche una bella cena per quegli amici che invece non invito mai.

E’ sembrato un tempo molto lungo, invece immagino sia passato meno di un minuto. Finito il flash sono tornata nel gruppone dei genitori e i bambini hanno iniziato ad uscire dalla palestra.

Ho ripreso piccoletto e cagnetta e risaliti in macchina ci siamo diretti verso il supermercato.

Questa galleria contiene 19 immagini.

Roma è anche questo. Tornando all’una e mezza da una passeggiata con il piccoletto e Cicoria dai giardini sotto Castel Sant’Angelo imbattersi, in una Via Giulia chiusa al traffico, in una processione della comunità Peruviana. Non so proveniente da dove e dove diretta. Con un enorme baldacchino con un Cristo in croce portato a braccia …

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Era il 19 giugno quando scrissi di Salvo Genovesi e della sua mostra. Non ripeto la storia perché l’ho allegata in fondo a questo post.

Oggi l’ho ripresa perché sono andata finalmente a visitare la sua mostra a Roma, a Palazzo Valentini.

E’ stata una grande gioia! Intanto perché le foto di Salvo sono bellissime, e vi invito ad andare – se siete a Roma è fino al 22 settembre. E poi per la strada che sta prendendo questo lavoro. Dopo tre mostre in Argentina, ora a Roma e poi di nuovo in Argentina con NO Shame parte II, Salvo ci ha lavorato in questo ultimo periodo.

E’ straordinario vedere come la decisione e la tenacia possano portare a risultati che razionalmente riterremmo impossibili. Non anticipo nulla di quello che sarà la seconda parte del suo lavoro né della conclusione che ne seguirà. Ma ne parlerò quando verrà il tempo. 

Però voglio fare anche un’altra considerazione.

Quando scrissi il post a giugno ero ancora all’inizio della mia sfida. La sfida di riuscire a tirar fuori la mia creatività e la gioia di stare con me stessa attraverso la scrittura. Non mi sembra possibile che sia passato solo così poco tempo e di aver avuto così tante soddisfazioni. Solo il piacere di vedere alcune persone leggere con curiosità e a volte con apprezzamento quello che scrivo è inimmaginabile.

Per me è stata una sfida nel senso più vero. Ho dovuto vincere le mie paure. L’ansia da prestazione, ma soprattutto ritornare a credere che sia giusto fare ciò che si desidera fare senza temere di essere criticati. Era una condizione che negli ultimi anni avevo perso e che sono felice di aver ritrovato.

19 giugno 2012

Erano le 4,30 ed ero sveglia. Non completamente. Stavo lì che cercavo di capire se accendere la luce o tentare di riaddormentarmi. Se alzarmi a fare un bicchiere di latte di riso caldo o riprendere in mano il libro. Certo l’idea del libro era quella che mi attirava di più. Avevo iniziato a rileggere Alta fedeltà di Nick Hornby e ogni pagina era uno spasso. Ste insonnie oramai mi perseguitano, colpa degli ormoni. La vita di una donna è costantemente regolata dagli ormoni. O dalla mancanza di ormoni. Ma questo è un altro capitolo.

Insomma, ero lì con un occhio chiuso e uno aperto quando vedo lampeggiare la luce del telefono sul comodino (più che un comodino è una cassetta di vini rovesciata, ma anche questa è un’altra storia). Apro il secondo occhio e con lo sguardo appannato  vedo che è un messaggio su WhatsUp.

Strano. Molto strano. Da quando non ero più in contatto con il tormentato e tormentoso amante nessuno mi scriveva messaggi su WhatsUp. E men che meno alle 4,30 del mattino!

Ma a quel punto ero completamente sveglia e così, con la vista ancora annebbiata (e senza occhiali) ho cercato di vedere di chi era. Era una foto. Dovevo mettere gli occhiali. Era una foto di una sala allestita con una mostra fotografica. Il mio amico Salvo!

Alle 4,30 del mattino mi era arrivato un messaggio dai confini della Patagonia dal mio amico Salvo Genovesi! Con una sola frase accanto alla foto: tutto è possibile!

Salvo  è un giovane amico. Attore fino a poco tempo fa, è partito un certo giorno del 2009 per gli Stati Uniti per nuove opportunità di lavoro. Lì ha spolverato una sua vecchia passione: la fotografia. E ne ha fatte tante di foto. Dopo un anno, tornato in Italia, ha iniziato a lavorarci su. Le ha elaborate con tecniche che non saprei neanche dire ed un giorno me le ha mostrate. Ero un po’ scettica su questa nuova strada che aveva preso. La giudicavo forse tardiva? Pensavo forse che non ci si può improvvisare fotografo, o visual artist, da un giorno all’altro? Non so. Fatto sta che erano belle. Ma proprio belle!

E però come avrebbe fatto un attore-neo-fotografo a far vedere in giro le sue creazioni? Salvo è uno di quegli uomini che realmente credono che tutto si possa fare. E così senza appoggi, o raccomandazioni, ha iniziato a muoversi. Prima nella sua Catania, dove il 18 giugno 2011 ha organizzato la prima mostra, nel Palazzo della Cultura : NO SHAME. Anzi il suo   primo mulmedia concept come dice lui. E’ piaciuta. Subito viene invitato a Noto per esporre a Palazzo Nicolaci.

Poi la sede siciliana del marchio Citroen, invita Salvo  ad esporre NO SHAME nei loro saloni per la presentazione della loro nuova vettura,  creando una partnership che mai prima d’ora aveva avuto luogo in Italia.

Da lì  quest’anno è partito il giro in Italia – Milano, Torino – e poi quello  internazionale: prima tappa Argentina e poi sarà Hangzhou ( Museo della Seta) , New York e Tokyo. In autunno sarà di nuovo a Roma.

E così, il mio amico Salvo, alle quattro e trenta del mattino (in Italia, ma a Bahia Blanca che ora sarà?) mi ha mandato una foto della sala allestita con la sua mostra, per condividere la sua gioia. E un semplice messaggio: si…. può ….. fare!

Questa galleria contiene 13 immagini.

Noi romani siamo tutti concordi nel ritenere la nostra una città fantastica. Bella e preziosa. Con immense possibilità. E’ vero che è strozzata dal traffico e dallo smog, ma basta un tramonto sul cupolone o una mattina con il cielo terso dopo un temporale e tutti la guardiamo con l’occhio dell’innamorato. Anni fa dicevo che …

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