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In tempi di crisi, si sa, l’unione fa la forza. E contro il calo verticale del potere d’acquisto la condivisione dei costi è l’unica soluzione. La riflessione era partita tempo fa. Leggendo un trafiletto in cui si dava per certo un nuovo matrimonio tra il principe Andrea e Fergie la rossa. Divorziati da anni vivono comunque nella stessa residenza. Certo che i Duchi di York non hanno gli stessi problemi di affitto o di rata del mutuo dei comuni mortali. Ma la bolletta della luce del Royal Lodge deve essere ben superiore alla mia. E poi vuoi mettere il doppio del personale, doppi autisti, ecc.  A dividere i servizi si risparmia.

Tempo prima era stata la volta di un’amica, diciamo conoscente, che era tornata a vivere con l’ex marito. Dopo quattro figli, tradimenti e anni di separazione, liquidato l’attico da cinquemila euro al mese dove viveva con i figli, ristrutturato l’appartamento nel palazzo di famiglia di lui ricavando una stanza per ciascuno, sono tornati a vivere sotto lo stesso tetto. Economie.

Stessa cosa ha fatto il mio ex. Travolto dai problemi di lavoro ha deciso di condividere la sua casa con la sua ex. Non io. L’ex prima di me. Lui dice questione di convenienza. Bisogno di condivisione? Paura della solitudine? Vallo a sapere!

Fatto sta che le economie sono durissime e la libertà costa troppo.

Dovrei quindi forse adattarmi anche io ad una ricongiunzione abitativa? Potrei scegliere. Proporre un cohousing al padre del piccoletto e relativa compagna. Mi darebbero certamente un aiuto nella gestione del suddetto e l’assoluta certezza di mantenere la mia libertà di movimento. Il problema vero sarebbe dato dalla condivisione della cucina che è sempre stata terreno di scontro: Roma vs Calabria.

O altrimenti potrei tentare una nuova convivenza con l’ex marito. Con un cervello più maturo e i giusti spazi, a sedici anni di distanza, chissà, potrebbe anche funzionare. Certo non avrei problemi di disordine. E’ un super fissato. Semmai tenterebbe di sterminare gatti e cagnetta.

Insomma, bando a romanticismi e titubanze. Una comune con figli ed ex e la vita, forse, diventerà più semplice. O no?

Alfano.

Brunetta.

Le surreali motivazioni della Cassazione su Berlusconi.

Le immagini della voragine sull’autostrada a Capaci.

La vedova di Vito Schifani che dice:  Vi perdono, ma inginocchiatevi.

L’immagine di Don Gallo incontrato un anno fa.

Grillo che straparla e nessuno gli mette una mano in faccia.

La solitudine.

La consapevolezza che è necessario, sempre, tener conto della provenienza di tutto quello che accolgo nella mia vita.

La certezza che la superficialità è il male di molte menti.

Tutto questo mi porta a bere dell’ottimo rosso pugliese e a ricorrere ad un grande musico e filosofo e uomo che mi offrì un accappatoio azzurro in tempi in cui un accappatoio poteva ancora farmi piacere.

Perchè la cultura sta morendo. E noi con lei.

Vi perdono. Ma inginocchiatevi.

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Leggevo l’ultimo post di Alice  e mi sono fermata a ragionare sull’abitudine alla solitudine. Nel mio caso è quasi ridicolo parlare di solitudine. Anche ora che la ventunenne è andata a vivere dal padre, ho sempre il piccoletto. E quando anche lui è a casa del padre sono comunque in compagnia di due gatti e una cagna.

Questa notte, a proposito, ho capito che Cicoria e Gilda, due vere bastarde dentro, hanno oramai fondato una sorta di associazione a delinquere. Dove non arriva la cagna, salta la gatta, ed insieme riescono a spazzolare qualunque cibaria io dimentichi di togliere di mezzo. Un coperchio caduto dalla padella al pavimento ha fatto si che le beccassi col muso in flagrante reato e mi ritrovassi alle due di notte sveglia a meditare sulla solitudine.

L’abitudine a gestire tutto in prima persona, ad essere sempre investiti della responsabilità della decisione. La sensazione che non ci si può voltare con la testa di lato e dire: di questo potresti per favore occupartene tu? O anche chiedere una mano per piegare il lenzuolo da stendere, o tirare su il piumone dal letto. Avere un menù per ogni cena, senza discuterlo con nessuno. Fare i conti con il proprio denaro, inventarsi nuovi modi per risparmiare o permettersi un piccolo regalo (che tanto nessuno te ne fa).

Tutto questo è abitudine alla solitudine.

E condividere il letto, la colazione. Fare la spesa spingendo il carrello in due discutendo del tipo di pasta da comprare. O semplicemente comprare i fusilli perchè sono quelli che preferisce lui. Questo essere coppia nella quotidianità, mi manca? Amerei avere di nuovo un uomo accanto, veramente accanto, fisicamente presente, sempre, nella mia vita?

O le scelte fatte negli anni confermano che dormire abbracciati è bello, si. Ma una notte ogni tanto. E il bagno può essere veramente l’anticamera dell’infermo. E in fondo la fatica di decidere ogni cosa da sola è inferiore a quella di doverle condividere quelle decisioni.

Cosa mi corrisponde di più? Cosa mi manca veramente oggi? Perchè è certo che qualcosa manca.

E in questo tratto del curvone della vita dove sento di essere da mesi. In questo tratto di strada dove continuo a svoltare  ma senza vedere  ancora il rettilineo. In questo tornante in discesa dove le cose iniziano ad accellerrare paurosamente. Un rotolare di attività, movimenti di persone che si affiancano e poi vanno via. Di altre che  tornano. Di lavoro piombato improvvisamente a sconvolgere gli orari lasciandoti con il fiatone e sempre un sacco di cose in sospeso. Di pensieri molesti che la notte ti tengono sveglia. In questo tratto di vita cosa o chi vorrei. Cosa o chi mi potrebbe ridare un senso di non-solitudine e placare la mia ansia. Cosa o chi?

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