Cara madre, è molto che non ti scrivo.
Lo so avrei dovuto farlo da tempo, ma come sai io non faccio le cose tanto per farle, e di scriverti non mi andava.
Le parole sono importanti e quelle scritte lo sono anche di più. So che ricorderai che ho stracciato tutte le tue lettere che mi hai inviato dal Sudamerica. Tutte quelle veline bianche rosse e blu della posta aerea: non c’era nulla di interessante in quegli elenchi di cose fatte e eventi da organizzare, nulla che mi riguardasse o mi toccasse veramente. Anche quando ti scrissi, con voluta freddezza ed in modo particolareggiato di come avevo perso la verginità, tu mi rispondesti con termini pacati, con un sobrio invito a fare attenzione e un tiepido accenno alla mia trasformazione in donna.
Oggi non è stata una buona giornata, so che detesti quando mi lamento, ma credimi se lo faccio è perché davvero è stata una giornata di merda.
Tanto per farti capire quanto ero sfatta, la principessa – che tu sai quanto è tirchia – tornando dal controllo alla protesi mi ha portato un regalo: un bellissimo scialle di lana, con dei motivi di foglie e colori, si chiama “Wisteria”. Me lo ha dato e poi mi ha abbracciato dicendomi che non poteva più vedermi in quello stato.
Ricordi quando piangevo in prima elementare perché mi mancava “papino”? Ero una fontana, inconsolabile perché davvero sentivo che la morte mi era vicina se non potevo vedere ne lui ne te seduti accanto a me nel banco….. ecco oggi piangevo allo stesso modo.
Certo non cerco più nessuno di voi due, ma quando mi torna quella sensazione di abbandono, quella mancanza assoluta di punti di riferimento, la negazione dell’esistenza, il crollo di ogni sicurezza, continuo a piangere con la stessa disperazione con cui lo facevo cinquanta anni fa. Eppure oramai dovrei essermi abituata alle perdite. Dovrei essere avvezza agli abbandoni e ai tradimenti….. invece continuo a subire e piagnucolare. Come vorrei essere cresciuta diversamente, madre. Tu credi sia ancora possibile per me imparare ad essere impassibile e forte?
Non so, forse alle volte lo sono stata. Ma mai quando la cosa mi riguardava personalmente. Sono capace di una grande forza e anche, direi, coraggio, quando si tratta di altri da me. Se devo assiste o consolare qualcuno sono molto brava. Già, ma quello lo ero anche da bambina. Ogni volta che accadeva qualcosa di increscioso, e nella nostra famiglia qualunque cosa leggermente fuori dalla norma era incresciosa, a me toccava il compito di tranquillizzare la sorella e i cugini. Che poi i cugini in realtà erano solo la più piccola, che i fratelli maggiori erano due specie di zombi: gelidi e insensibili.
Comunque ti stavo raccontando di oggi. Non è stata una buona giornata. Anzi è stata una pessima giornata. Di nuovo ho avuto quel coltello infilato nella schiena. Solitudine, tradimento e un senso di ingiustizia che si è rapidamente trasformato in rabbia. Lo capisci, madre, quanto fa male, ogni volta?
E dopo cinquant’anni anni, ancora non sono stata capace di reagire. Se non piangendo e sentendomi di nuovo come il brutto anatroccolo. Ci puoi credere?