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Finito il Grande Diluvio Romano porto Cicoria al parchetto dei cani.

Il parchetto è un pratone recintato, con al centro un fosso cannuto, autogestito e molto frequentato. Uno degli esempi di autogestione di spazi abbandonati, da parte di cittadini che non si aspettano nulla dalla municipalità.

Con i contributi di noi frequentatori viene tagliata l’erba, comprati sacconi per le cacche che ogni accompagnatore di cane è obbligato a raccogliere, sistemata l’area coperta che d’estate ti permette di non essiccarti mentre i cani scorrazzano.

Il prato è selvatico, niente di elegante, ma ha moltissima Malva delle cui radici i cani sono ghiottissimi.

Dalla primavera iniziano a rivelarsi tra l’erba un numero impressionante di formicai. Prima qualche animalino che esce da piccoli buchi, poi ingressi più ampi e movimenti frenetici. In estate enormi cerchi di erba bruciata indicano i punti dove le formiche stanno operando. Grandi mucchi di “rifiuti” nei pressi delle entrate e lunghe file di formiche che portano sottoterra l’impossibile. L’estensione è talmente ampia che si ha la sensazione che il Pratone sia sospeso su una unica immensa rete sotterranea di gallerie e stanze e pozzi.

Ieri il Grande Diluvio Romano deve aver sconvolto non poco questo mondo sotterraneo. Arrivando al parco ho visto che non c’erano le solite file di laboriose operaie al lavoro, ma solo insetti di varie dimensioni che vagavano sperduti alla disperata ricerca di un segnale. Tra questi ho visto una formica enorme, grande forse dieci volte le altre, che si muoveva decisa  cercando di trovare un punto dove scavare. Arrivava vicino ad un rialzo del terreno, iniziava a fare un piccolo scavo con le zampe anteriori e le forti mandibole tirando fuori la terra di riporto e arrivando ad infilarsi quasi con tutto il corpo. Poi smetteva e ripartiva alla ricerca di un altro punto. Altro tentativo e nuova partenza.

Chi sei? E cosa stai cercando? – ho pensato mentre Cicoria si dava ad una appassionata caccia alle lucertole graziate da due giorni di casalinghitudine forzata.

Forse sei una Regina e con il Grande Diluvio Romano hai perso il tuo formicaio. Con un filo di paglia l’ho toccata e lei ci si è rabbiosamente attaccata risalendolo per venire a punire la mia mano. Veloce veloce l’ho depositata vicino all’entrata di quello che mi sembrava un formicaio attivo.

Ha sondato per un microsecondo il terreno e poi è ripartita in un’altra direzione, leggermente “spinta” dalle altre formiche, infinitamente più piccole ma assai più numerose.

Impegnata a raccogliere la cacca di Cicoria ho perso il contatto visivo con la mia Regina.

Dopo un poco ho notato un’altra formica, e poi un’altra, tutte delle stesse notevoli dimensioni, che praticavano lo stesso sport: saggiare il terreno in cerca di un punto adatto allo scavo.

Piano piano ho capito: siete Regine che avete perso il vostro formicaio ed ora ne dovete costruire uno nuovo prima di recuperare l’autorità e la forza che vi faranno riconoscere come tali dalle altre formiche. Dovete cercare il posto giusto e scavare, da sole, a lungo, prima che nuovamente veniate seguite per fondare una nuova città sotterranea.

E così mi sono sentita anche io. Sto cercando il posto giusto, e tento, e scavo, e fatico per riuscire a trovare il mio nuovo territorio e  per ricreare  una nuova rete di tante piccole energie costruttrici di cattedrali sotterranee.

Rafael Gómezbarros - Invasive Ants

Rafael Gómezbarros – Invasive Ants

appena sveglia dopo un’altra notte di incubi e insonnia

c’è il cielo grigio e l’aria fredda

mi faccio un caffè

partire per non restare sola?

rimanere sola per non partire?

la vita è pura follia

ma bisogna dare un ordine a questa follia

c’è un poeta torinese, folle, che di questo ha fatto un mestiere

Guido Catalano 

io lo adoro

stamattina ho incontrato questa

ve la leggo

(potete anche non ascoltarmi tanto l’ho scritta sotto)

– quando non ci sei mi manchi
– e quando son con te?- vorrei non ci fossi
– così ti mancherei

– esatto
– potremmo non vederci mai più

– così mi mancheresti sempre
– geniale

– allora ciao
– allora addio

– già mi manchi un po’
– impossibile, son ancora qui

– va bene, addio
– un’ultima sigaretta?

– ho smesso un anno fa
– dai, è un’ occasione importante

– ma tu non fumi
– è vero

– ho delle cioccolate
– fondenti?

– fondentissime
– ok

– avresti mai detto che sarebbe finita così?
– sì, con te sì

– come sì con me sì?
– sei sempre stato strano, fin dal primo bacio

– solo perché son svenuto dopo averti baciata?
– ti sembra poco?

– avevo il calo di zuccheri e l’emozione a palla
– e quella volta che volevi picchiare il benzinaio perché dicevi che mi guardava in modo concupiscente?

– sai che son sempre stato geloso dei benzinai, è un mio punto debole
– va bene, ora vado

– se mi manchi troppo posso chiamarti al telefono?
– non penso funzioni così

– quindi a Natale non ci facciamo il regalo?
– direi proprio di no

– e tu potrai baciare altri, benzinai compresi?
– sì

– ma tutto ciò è terribilmente spaventosamente terribile
– lo è

– facciamo che tutto questo era un incubo e noi ci svegliavamo nello stesso letto e mentre facevamo colazione con le uova fritte io te lo raccontavo e ci ridevamo su?
– sei sicuro?

– no, però facciamolo
– ci sto, però cerca di sentire un po’ la mia mancanza

– sempre
– spesso

– non mancherò

coppacampioniromaliverpdasottoRientro a casa da teatro. Ho visto un bel testo di Giuseppe Manfridi “Roma Liverpool 1 – 1” portato in scena in maniera eccelsa (come sempre) da Paolo Triestino. Ho riso molto e mi sono trovata a fare il tifo per una Roma che non esiste più, per una partita di cui nulla sapevo.  Che il calcio non lo seguivo allora e tantomeno oggi. ( ma nel cuore sempre giallorossa resto)

Ma non è questione di calcio. E’ questione di passione, che si trasmette, e di talento, e di occasioni mancate, e di pezzi di vita.

Dovrei essere allegra per la serata piacevole.

Invece.

Come lascio il teatro rientro in una dimensione di fatica quotidiana e depressione.

La mancanza di riposo nel periodo estivo, di un vero riposo intendo. Quello mentale, del distacco vero, reale e totale dal lavoro. Della condivisione di un periodo di una vacanza qualunque in qualunque posto, ma con le persone che ami. Questa mancanza ora si fa sentire. All’inizio di un nuovo anno di lavoro intenso, si fa sentire.

Ma non è solo la fatica fisica o mentale. O i dolori che da qualche mese mi perseguitano.

E’ la mancanza di un vero senso di soddisfazione, carenza di un risultato positivo. Difficoltà a mantenere la rotta senza avere un riscontro utile.

Sembra che qualunque cosa stia andando male. Nonostante gli sforzi non riesco a portare a casa risultati.

Apparentemente non è così. Credo ci siano persone che addirittura mi invidiano. Ma è tutta apparenza.

Tutta la professionalità, l’impegno, la creatività, il tempo, la serietà, che metto nel lavoro portano zero risultati. Sopravvivo. In attesa che qualcosa si compia e arrivino tempi migliori, e si ribaltino le condizioni assurde nelle quali sto lavorando.

E non è solo una questione di denaro. Sento che nulla di quello che faccio viene realmente apprezzato da nessuno. O forse non ha semplicemente alcun valore.

Nessuno è indispensabile. Immaginavo che avrei avuto, ad un certo punto della vita, finalmente un risultato  positivo dagli sforzi che ho fatto nel mio  percorso. Invece sembra tutto inutile. Forse veramente ho sbagliato scelte, negli ultimi anni. Ho puntato su persone e testi e lavori sbagliati.

Avere la mia età ed avere questi risultati è fallimento puro.

Dov’è più la mia passione? E il talento c’è mai stato? E quali sono le occasioni che ho mancato.

Prendere una grande sconfitta di calcio come parabola di vita, a questo sono arrivata.

“Se poi vi è un fine delle nostre azioni che noi vogliamo di per se stesso, mentre gli altri li vogliamo solo in vista di quello, e non desideriamo ogni cosa in vista di un’altra cosa singola (così infatti s’andrebbe all’infinito, cosicché la nostra tendenza sarebbe vuota e inutile), in tal caso è chiaro che questo dev’essere il bene e il bene supremo.”

Aristotele 

Apprendiamo che il vero aspetto di tutti i fenomeni corrisponde anche ai due Budda Shakyamuni e Molti Tesori [seduti insieme nella torre preziosa]. “Tutti i fenomeni” corrisponde a Molti Tesori e il “vero aspetto” corrisponde a Shakyamuni. Questi sono anche i due elementi di realtà e saggezza. Molti Tesori è la realtà e Shakyamuni è la saggezza. È l’illuminazione al fatto che realtà e saggezza sono due, ma allo stesso tempo non sono due.

Questi sono insegnamenti d’importanza primaria. Corrispondono ai princìpi per cui “le illusioni e i desideri sono illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. 

Nichiren Daishonin

Desiderio 33

E’ successo che ho perso il contatto con me stessa.

Per tutti i primi anni della mia vita  ho avuto l’insegnamento che non avevo nessun diritto di desiderare. Che c’era comunque qualcuno che aveva già deciso per me cosa era bene o male, cosa era giusto o adeguato.

Ci ho messo tanto a superare il condizionamento. Si può andare via e gettare in un pozzo i ricordi e i legami, ma nel profondo, nel DNA, rimangono, perfidi e invadenti.

Dopo anni con una serie di colpi di testa, di cui in fondo non mi sono ancora veramente perdonata, ho preso finalmente in mano la mia vita. Nuovi rapporti, nuove regole, nuovo lavoro.

Ho imparato ad ascoltarmi, a dare retta ai miei desideri. Non le voglie improvvise, banali, illusorie. I desideri profondi, quello per cui ha valore la fatica di vivere. I desideri sono motori potenti. Ho imparato che la questione fondamentale è la strada che si percorre per riuscire a realizzarli. Pensieri e parole e azioni atte a far si che si materializzi il nostro pensiero. E l’ho fatto. Ho rischiato tutto. Ho mandato a monte sicurezze e vita facile e ho costruito il mio piccolo mondo, quelloin cui mi sono sentita per la prima volta a mio agio così come sono.

Dopo anni, invece, oggi mi rendo conto che è un  lungo tempo in cui invece di avere obiettivi o desideri, cerco di galleggiare. Di mantenere il controllo. Vivacchio alla giornata.

Non me ne ero resa conto, fino a che ho letto un paio di post di Mister Incredibile: questo per esempio.  Ho sbattuto il grugno contro la realtà e non mi è piaciuta per niente. Anzi non MI sono piaciuta per niente.

E siccome lamentarsi è comunque vietato, posso solo rimboccarmi le maniche, darmi una calmata, guardare di nuovo in fondo a me stessa, frugare tra le paure, le ansie, i bisogni, i doveri….. e recuperare il mio vero obiettivo, il mio vero desiderio. Quello che sarà la benzina per il mio percorso da oggi in avanti.

La parola è un gran dono.

Io amo ascoltare. Veramente. Mi perdo dietro alle cadenze, mi intrigo delle cesure. Amo i dialetti mischiati all’italiano. Adoro osservare il movimento degli occhi e delle mani di chi parla. Mi piace speculare sui sottotesti. Vengo agganciata dalle storie e dai racconti di piccoli episodi di vita vissuta. Mi impongo di non interrompere, perchè so che è un difetto odioso. Cerco di mantenere alto il livello di attenzione anche quando chi mi parla fa lunghi giri, o interlocuzioni interminabili. Anche se non mi interessa molto quello che viene detto sento che dare imporanza a chi ti comunica qualcosa è un passaggio fondamentale nell’aver poi attenzione alle piccole cose della vita. Tutto torna.

Ma certe persone non si regolano proprio.

Parlano, parlano, parlano. Non si ascoltano nemmeno. Non credo neanche pensino quello che dicono. O non pensano prima di parlare. E la maggior parte delle volte parlano di se: io, io, io.

Altre persone riescono ancora dopo anni a rifarti gli stessi ragionamenti, argomentando con le stesse esperienze, finendo per ricitare gli stessi episodi. Come se la vita si fosse fermata. Come se nessuno avesse avuto nessun altro incontro, nessuna altra visione. Come se la memoria non fosse il più fallace dei documenti.

In tali casi divento insofferente. Riesco anche, a volte, facendo uno sforzo, ad estraniarmi. Dando ancora spazio alla parola. Ancora una volta alla stessa parola.

Ma arriva il momento che proprio non se ne pò più, e allora dico basta. Dico ma non ti dai noia da solo a ripetere sempre le stesse cose? Dico ma uno specchio per guardarti ed ascoltarti, mai?

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C’è stato un tempo in cui facevamo l’amore all’aperto

un materasso buttato in terra

sulla terrazza sotto la luna.

C’è stato un tempo in cui un’immagine valeva più di mille parole

e bastava un colore a parlarmi del tuo giorno.

Il tempo corre in cerchio

e non si ripassa dal via.

Vedo la tua figura in controluce su una spiaggia lontana.

Allora non eri ancora mio.

Ora non lo sei più.

Antologia di un amore perduto – Teresa Aleandri

tuffoSembra strano a pensarci ma in ogni istante della nostra esistenza noi decidiamo qualcosa. Cose banali, alle volte, di cui non ci rendiamo neanche conto. O cose piacevoli, per cui va da se che ci lasciamo trasportare dalla gioia e andiamo avanti. A volte dobbiamo decidere di agire in situazioni spiacevoli, e lì la questione si complica perché occorre, appunto, una decisione più consapevole.

Per tanto tempo mi sono lamentata del fatto che nella mia vita capitavano sempre cose sovrapposte, al punto che dovevo per forza scegliere: una strada o l’altra. Strade che probabilmente mi avrebbero condotta in direzioni molto diverse, ma che evidentemente mi allettavano entrambe, o comunque avevano entrambe pro e contro che si bilanciavano. A volte sono stati periodi di dubbio lancinante, perché la decisione riguardava questioni di vita o di morte, e ho imparato che nella vita molte questioni sono altrettanto importanti anche se apparentemente meno drastiche. Sono stata rimproverata. Non è che a me capita più di altri di dover decidere spesso tra due strade, è la vita che è così. Sono solo evidentemente più incapace di altri a fare scelte.

In ogni caso. Sia che ce ne rendiamo conto o meno tutta la nostra esistenza è frutto di continue decisioni o scelte. Che ce ne rendiamo conto o meno la direzione che prende la nostra vita è comunque legata ad ogni nostro singolo pensiero, o parola, o azione. Nel buddismo questo viene definito come legge di causa ed effetto, «Se vuoi conoscere le cause passate guarda i risultati che si manifestano nel presente, se vuoi conoscere gli effetti che si manifesteranno nel futuro, guarda le cause che stai ponendo nel presente» In verità la legge di causa ed effetto è  una legge per niente metafisica, molto scientifica. Al pari della legge di gravità esiste sia che ci crediamo o meno.

E’ facile da capire se prendiamo ad esempio effetti visibili ed immediati conseguenti ad azioni. Per esempio se lascio la macchina parcheggiata sulle strisce pedonali e trovo una multa sul parabrezza lego immediatamente la mia azione con il suo effetto. Più difficile è capire quanto quello che viviamo è frutto di cause messe nel passato (nel Buddismo  anche nell’infinito passato) o come ciò che facciamo, diciamo, pensiamo oggi può avere effetti nel nostro futuro. La questione fondamentale, che oramai fa parte integrante della mia vita, è la consapevolezza che occorre avere, mettere in campo, cercare di ottenere, il massimo della coerenza tra ciò che pensiamo e diciamo e le azioni che compiamo. E quando forzo la mano, quando non sono allineata, inevitabilmente la vita comincia a deragliare. Sento quasi fisicamente che sto sdrucciolando e niente mi gira più al giusto modo. E non intendo dire che esiste un solo modo di pensare, dire o agire. Rispetto la libertà di ognuno. E’ solo che ognuno deve avere coerenza con se stesso.

Quando quindi capitano situazioni per le quali la decisione su quale strada seguire mi spacca la testa, o l’anima, o il cuore, io pratico con la determinazione per agire con coerenza con me stessa, e di decidere al di là di ogni ragionevole dubbio cosa è giusto. Per me, non in assoluto, ma per me. Per quello che credo mi faccia bene, per ciò che da valore alla mia vita, per come desidero che sia il mio futuro.

E cerco di non lamentarmi nei momenti difficili, perché so da dove arrivano e perché. E cerco di prendermi la responsabilità di ciò che mi accade, senza delegare o accusare chi mi è vicino. E dico cerco perché a volte è veramente complicato.

Dopo una frase letta su facebook e un articolo su un blog che forse non è più attivo ho reincontrato un vecchio libro che amo e che ogni donna dovrebbe leggere. Per la sua formazione.

Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés, il ritorno della donna selvaggia.

Intanto voglio garantire che non sto diventando una sciamana, ed è assoluta coincidenza se solo pochi giorni fa già parlavo della donna lupo. Giocavo. Questa è roba seria.

Poi voglio raccontare come ho incontrato per la prima volta il libro. Me lo ha consigliato una donna, un’amica, che lo aveva avuto da una psicologa, dalla quale andava regolarmente per riuscire a gestire un rapporto decisamente problematico con un uomo. Lei, la psicologa,  era una donna con un viso bellissimo su un corpo veramente oversize. Una donna molto intellettuale che tentava di farle capire come poteva riuscire a sentire il suo vero valore senza dipendere dall’accettazione di un uomo che, lei diceva, valeva decisamente meno, ma la teneva in pugno.

La cosa divertente fu che dopo averle detto e stradetto che lui non era una bella persona (avevano iniziato a fare anche terapia insieme); dopo averle mostrato prove inconfutabili della propensione del tipo alla cornificazione (lui aveva scritto una lettera a lei, alla psicologa, in cui si confessava profondamente innamorato); lei, la psicologa, uscì con lui e sinceramente non so cosa successe perché ovviamente la mia amica interruppe la terapia (pare che in terapia junghiana il transfert e contro transfert – cioè il/la paziente che si innamora del/la terapista e viceversa – sia normale ma a lei non sembrò tale, e francamente nemmeno a me).

Fatto sta che in tutto ciò questo libro arrivò a me. Io l’ho letto da allora diverse volte. A volte solo alcune parti. L’ultima – quella sulla storia di Barbablù –  in occasione di uno spettacolo teatrale su cui si stava lavorando.

E’ un libro che parla del grande potenziale che esiste in ogni donna. Della profonda saggezza istintuale delle donne. Potere e saggezza sepolte da secoli di cultura e pratiche assolutamente antifemminili.

E’ una lettura che va affrontata quasi come un rito di iniziazione. Un passaggio fondamentale è quello legato agli archetipi contenuti nelle fiabe che normalmente si raccontano ai bambini, o almeno si raccontavano ai bambini della mia generazione: Cappuccetto Rosso, Barbablù, Il brutto anatroccolo, La donna scheletro.

La Pinkola Estés negli anni sessanta ha girato l’America del Nord e del Sud, cercando e ascoltando storie. In particolare quelle storie che tramandate da generazioni e generazioni avevano trasformato la loro essenza primitiva essendo state attraversate dal passaggio delle culture, delle religioni. Ma in posti diversi, da anziane diverse, si accorse che molte di queste storie avevano una radice comune. Una radice antica che riportava al vero insegnamento che la storia racchiudeva e per il quale veniva narrata.

Oggi ho reincontrato questo libro. L’ho riaperto e ho trovato tanti passaggi sottolineati.

Mi piacerà nei prossimi giorni riprenderli e parlarne.

ImmagineUna delle poche fortune che si hanno in quanto mamme separate è che poi capita il weekend dei papà.

Quindi lasciato il piccoletto al genitore,  liberando finalmente la casa alla ventenne ed avendo chiuso per l’ennesima volta – si spera l’ultima per la mia salute e quella di chi mi circonda – con il tormentato e tormentoso amante, sono partita per un weekend di quasi non lavoro.

A Verona per un incontro di letteratura italo-irlandese dove ho avuto il vero piacere di conosce autori davvero interessanti e una realtà culturale leggermente meno impaludata di quella romana.

Essendo la mia prima volta a Verona ho fatto finalmente la turista e potevo forse esimermi dal visitare la famosa casa di Giulietta? Nel mio immaginario il famoso balcone – pare che invece nei testi di Shakespeare il sommo autore non nomini mai il balcone ma parli di una semplice finestra (!), era affacciato su un grande giardino ombreggiato da alberi da frutta e circondato da un alto muro. Nella realtà esiste un piccolo cortile al quale si accede da un grande portone del tutto anonimo. Se non fosse per la quantità di persone che continuamente entrano e fotografano e lasciano ricordi.

Sempre nel mio immaginari questi famosi ricordi erano lasciati sotto forma di biglietti e lettere tipo exvoto di amanti felici o aspiranti amanti o di infelici in cerca di amanti.

Invece l’era Moccia ha contaminato anche il povero cortile di Giulietta. Il portone è un puzzle di chewingum, immagino masticati,  e appiccicati a memoria di non so quale sentimento (salive condivise? bocche che si sono incontrate in languidi baci al peppermint?) Immagine

Messaggi effettivamente ce ne sono. Ma direttamente scritti sui muri e talmente scarabocchiati ed accavallati che più che altro sono dei non messaggi.

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La vera tragedia però l’ho trovata all’interno, proprio sotto il famoso balcone (c’è veramente qui un balcone) e accanto alla statua della povera Giulietta usata come fondale per le foto dei supposti amanti  o aspirati tali: un cancello completamente rivestito dai famosi lucchetti mocciani.

Immagine

Al cuor non si comanda, è vero, ma al cervello? Si. A questo un minimo di ordini andrebbe dato. Se non altro a quello dei custodi di un palazzo storico che, pur non essendo mai stato probabilmente abitato dai Signori Capuleti, ha una pur qualche importanza dal punto di vista dei Beni Culturali.

Ma senza diventare bacchettona e purista la mia grande delusione è stata quella di non poter sbirciare nei messaggi amorosi che immaginavo di trovare. Davvero non c’è più traccia di parole tra amanti? Nulla a cui attingere, o usare come fonte di ispirazione, o che faccia sognare di amori realizzati? Solo cuori saliva e lucchetti?

Come a conferma di questi miei pensieri ieri mattina proprio davanti al mio portone ho trovato un cuore disegnato in terra con enorme punto interrogativo al centro. Disegnato nella notte da un amante sfortunato, mi sembra di capire. O quantomeno dubbioso. O con una interpretazione più ampia dubbioso/speranzoso. Certamente indirizzato ad uno/a dei miei coinquilini. Non siamo in molti e subito è partito un rapido vaglio del/la possibile destinatario/a. Esclusa mia figlia, la ventenne, la quale si è dimostrata troppo sorpresa per essere in qualche modo coinvolta in tale richiesta d’amore, con il portiere e l’uomo delle riparazioni – subito accorsi per rimuovere il poco signorile e deturpante messaggio – siamo rimasti orientati su un paio di soggetti, uno di sesso femminile e uno maschile, unici per fascia di età possibili destinatari di tale graffito.

Il solerte tentativo di pulitura è risultato vano. Nonostante l’utilizzo di vari solventi e diversi livelli di scartavetratura l’enigmatico simbolo amoroso è rimasto in terra, solo leggermente più sfumato. Devo dire più carino.

Ma nonostante l’ennesimo sfregio al sunnominato decoro urbano mi fa tenerezza uscendo di casa posare il piede su un cuore, che, seppure forse infranto – ma mi auguro che il/la coraggioso/a graffitaro sia stato ricompensato del suo/a ardire, mi fa ancora pensare (e sperare) all’amore.

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