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Archivio mensile:settembre 2013

cohousing091109_1_560

In tempi di crisi, si sa, l’unione fa la forza. E contro il calo verticale del potere d’acquisto la condivisione dei costi è l’unica soluzione. La riflessione era partita tempo fa. Leggendo un trafiletto in cui si dava per certo un nuovo matrimonio tra il principe Andrea e Fergie la rossa. Divorziati da anni vivono comunque nella stessa residenza. Certo che i Duchi di York non hanno gli stessi problemi di affitto o di rata del mutuo dei comuni mortali. Ma la bolletta della luce del Royal Lodge deve essere ben superiore alla mia. E poi vuoi mettere il doppio del personale, doppi autisti, ecc.  A dividere i servizi si risparmia.

Tempo prima era stata la volta di un’amica, diciamo conoscente, che era tornata a vivere con l’ex marito. Dopo quattro figli, tradimenti e anni di separazione, liquidato l’attico da cinquemila euro al mese dove viveva con i figli, ristrutturato l’appartamento nel palazzo di famiglia di lui ricavando una stanza per ciascuno, sono tornati a vivere sotto lo stesso tetto. Economie.

Stessa cosa ha fatto il mio ex. Travolto dai problemi di lavoro ha deciso di condividere la sua casa con la sua ex. Non io. L’ex prima di me. Lui dice questione di convenienza. Bisogno di condivisione? Paura della solitudine? Vallo a sapere!

Fatto sta che le economie sono durissime e la libertà costa troppo.

Dovrei quindi forse adattarmi anche io ad una ricongiunzione abitativa? Potrei scegliere. Proporre un cohousing al padre del piccoletto e relativa compagna. Mi darebbero certamente un aiuto nella gestione del suddetto e l’assoluta certezza di mantenere la mia libertà di movimento. Il problema vero sarebbe dato dalla condivisione della cucina che è sempre stata terreno di scontro: Roma vs Calabria.

O altrimenti potrei tentare una nuova convivenza con l’ex marito. Con un cervello più maturo e i giusti spazi, a sedici anni di distanza, chissà, potrebbe anche funzionare. Certo non avrei problemi di disordine. E’ un super fissato. Semmai tenterebbe di sterminare gatti e cagnetta.

Insomma, bando a romanticismi e titubanze. Una comune con figli ed ex e la vita, forse, diventerà più semplice. O no?

crudelia

dopo le settimane passate a lavorare come un matta, e a lamentarmi di sentirmi sola, e a piangere su me stessa, e a strisciare nel letto senza poter dormire, e a piagnucolare che proprio non ce la potevo fare più, e di conseguenza a scrivere dei post moscissimi, di tristezza e lamentela, ammorbando il prossimo, ed avendo ricevuto delle doverose sferzate da amici blogger e non, (respirate) ho deciso di cambiare tono ai miei scritti.

in fondo avevo iniziato a scrivere per liberare tutta la mia creatività (e questa potrebbe essere considerata una minaccia). avevo appunto scelto l’anonimato per non dover rendere conto a nessuno di ciò che scrivevo. poi la questione mi ha preso un poco la mano e il mio anonimato non  è più così completo.

macchissenefrega. ho deciso di ricominciare a scrivere quello che mi pare.

il blog sui maschi e la cacca mi è uscito così! quasi spontaneamente. (incredibile, eh!) ora arriverà il resto.

si parlerà di menopausa, di viagra, di viaggi del cavolo, di amiche perfide e di donne che odiano le donne.

parlerò di tradimenti e di furbizie maschili.

di quello che incontro per strada e di quello che mi invento nei sogni.

forse non userò la punteggiatura giusta e nemmeno le maiuscole. e ciò per dare in pasto ai criticoni tutto il materiale possibile. essì, perchè ultimamente pur non avendo molto tempo per scrivere o commentare, mi sono fatta un poco di giri di letture qua e là ed ho notato quanti bloggers eruditi ci sono, e quanto ci tengono alla loro erudizione.

e la mostrano, e la incorniciano, e la pompano come culturisti. una noia mortale. ma poi, non contenti, danno pure lezioncine di scrittura e lavate di capo e smerdate pubbliche.

figuriamoci! assolutamente libero ognuno di scrivere ciò che crede. ma mi sono fermata a riflettere. e da questa profonda riflessione mi è nata la voglia di scrivere proprio così, alla come viene viene.

e  vediamo.

luna opaca

in un mondo normale non uscirei alle nove di sera per tornare in ufficio a lavorare

in un mondo normale non mi sentirei abbandonata da qualcuno che tecnicamente non può abbandonarmi

in un mondo normale la luna piena e l’aria tiepida accompagnerebbero il mio riposo ed il giusto sonno

in un qualsiasi mondo tutto il lavoro e l’impegno e la professionalità e l’amore e la dedizione darebbero per   conseguenza di una vita normale

mutande_uomo_1

Per anni ho avuto a che fare con le femmine. Nel senso che avevo per casa una figlia femmina, la ventiduenne, e le sue amichette. Non che non frequentassero maschietti, ma il mio contatto con loro era sporadico. Mi occupavo quasi esclusivamente di sederi e mutandine da femmina.

Poi è nato il piccoletto. Già da neonato c’è stato il problema idrante. Era matematico.  Appena aprivo il pannolino per cambiarlo partiva lo schizzo. Inizialmente mi ha fregato. Ma  basta saperlo e si provvede con paraschizzi.

Ad un certo punto, poi, è stato evidente il diverso rapporto che i maschi hanno con la cacca e con il momento della defecazione.

La cacca dei bimbi è santa, si sa. Però quando crescono diventa cacca puzzolente come tutte le altre. E io non è che sia particolarmente schifiltosa. Tra figli, cani e gatti, di cacca ne ho una dimestichezza estrema.

Quello che non mi riesce di accettare, però, è la noncuranza con la quale, ho scoperto, i maschi lasciano tracce odorose o fisiche delle loro deiezioni. Evidentemente i soggetti maschi che avevo frequentato fino ad allora erano abbastanza atipici. Con il piccoletto, e con la conferma da parte di voci autorevoli, ho capito che il maschio umano tende a non curarsi dei residui derivanti dalla defecazione.

Si lo so questo post sta diventando una cacca. Ma è giusto che si sappia. C’è un gran numero di esponenti del sesso maschile che ritiene inutile lo scopettino del bagno. Effemminato l’uso del bidet. Non solo. Credo ritenga inutile anche un eccessivo utilizzo della carta igienica.

Da ciò ne derivano indumenti intimi orribilmente tracciati dall’escremento caccantizio, che la mamma o moglie si ritrova nel cesto dei panni sporchi.

Ora nel caso del piccoletto ho chiuso un occhio e anche due, per via dell’età. Ma all’ennesimo paio di mutande smerdato ho capito che dovevo assolutamente correre ai ripari per non gravare un’altra donna, nel futuro, del triste compito del candeggio. Quindi, oltre ai necessari consigli sull’utilizzo di quello strano accessorio presente in bagno denominato bidet, e alla rassicurazione che di carta igienica ne può usare quanta necessaria senza timore, alla fine l’ho minacciato di lasciagli lavare le sue mutande da solo. Cosa che incredibilmente lo ha abbastanza schifato.

Dunque, la conclusione.

Sappiate che il detto: il vero uomo ha da puzzà, è molto superato. Le donne normalmente in un partner (abituale, stagionale o occasionale) preferiscono un corpo, e i relativi accessori, puliti e profumati.

E più che altro, donne, crescete maschi puliti!

bicchiere-di-whisky_2270472

Be’, dice la morte, passandomi accanto,
ti prenderò comunque,
non importa quello che sei stato:
scrittore, tassista, pappone, macellaio,
paracadutista acrobatico, io ti
prenderò…
okay, baby, le dico io.
Adesso ci beviamo qualcosa insieme
mentre l’una di notte diventano
le due
e lei solo sa
quando verrà il
momento, ma oggi sono
riuscito a fregarla: mi sono preso
altri cinque dannati minuti
e molto di
più.

charles-bukowski

nèmei s. f., letter. – Propr. nome proprio, Nemesi (gr. Νέμεσις, lat. Nemĕsis), personificazione nella mitologia greca e latina della giustizia distributiva, e perciò punitrice di quanto, eccedendo la giusta misura, turba l’ordine dell’universo. Con uso fig., nstorica, espressione riferita ad avvenimenti storici che sembrano quasi riparare o vendicare sui discendenti antiche ingiustizie o colpe di uomini e nazioni; è una n., a proposito di un avvenimento considerato come un atto di giustizia compensativa. Talvolta anche col sign. generico di punizione o vendetta, con carattere di ineluttabile fatalità.

Tempo fa lessi e commentai un post ( che al momento non trovo e che quindi ritengo cancellato sicchè non ne citerò l’autrice ) che parlava di vendetta. Vendetta praticata dalla stessa, in modo “pesante” con agguati e violenza fisica, su uomini che evidentemente l’avevano quanto meno delusa, o tradita.  Lei era anche un poco pentita. Io mi ero dichiarata assolutamente “fan”.

Non ho mai saputo diventare vendicativa. Essere io la dea della giustizia. E’ vero che una sberla o due l’ho distribuita ( sono stata anche accusata di un pugno ma non era vero). Ma mi sono state veramente strappate dalle mani. Però la vendetta, quella vera, studiata, meditata, e poi realizzata, non mi è mai appartenuta. Eppure io sono una donna capace di grandi odii. Grandi amori e grandi odii. E quando vengo tradita, quando la mia fiducia viene oltraggiata, divento veramente cattiva. Il fatto è che sono un’impulsiva. Mentre la vendetta va consumata  a freddo.

Ci sono donne che si vendicano comunicando all’altra della propria esistenza. Amanti che scrivono alle mogli. Mogli tradite che insultano amanti. Donne che si accapigliano per un uomo. Ecco questo tipo di vendetta è proprio l’ultima che ritengo appropriata a me. Andare a colpire un’altra donna, quando è evidente che l’infame è solo la persona che si ha accanto, è veramente da poveracce.

Allora? ecco mi manca proprio la fantasia. Su internet si trovano filmati di mogli o amanti tradite che con martello o mazzerocco sfondano le auto dei traditori. Per alcuni uomini, si sa, l’auto è una parte della famiglia, viene quasi prima dei figli. Ma essi non sono mai stati i miei uomini.

Altre donne si mettono ad inveire e tentare lo sputtanamento su Facebook o sui blog o in qualunque altra modalità virtuale, con il risultato di essere compatite dal pubblico femminile, evitate da quello maschile (oggi a te domani a me) e insultate pesantemente dal fedifrago.

Continuo a ripetere che non sono assolutamente creativa. C’è bisogno di fantasia. Sicuramente ci sono persone che hanno attuato, o almeno immaginato, vendette degne de le Liaisons dangereuses. 

Magari aggiornatemi, potrebbe anche essermi utile, chissà . E comunque sfogarsi fa bene!

Kintsugi

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro.
Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello.
Questa tecnica è chiamata “Kintsugi.”

Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente.
E la differenza è tutta qui: occultare l’integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?
Chi vive in Occidente fa fatica a fare pace con le crepe.
“Spaccatura, frattura, ferita” sono percepiti come l’effetto meccanicistico di una colpa, perchè il pensiero digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o è intatto, o è rotto. Se è rotto, è colpa di qualcuno.
Il pensiero analogico -arcaico, mitico, simbolico- invece, rifiuta le dicotomie e ci riporta alla compresenza degli opposti, che smettono di essere tali nel continuo osmotico fluire della vita.
La Vita è integrità e rottura insieme, perché è ri-composizione costante ed eterna. Rendere belle e preziose le “persone” che hanno sofferto……questa tecnica si chiama “amore”.
Il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco. Il dolore fa due cose: Ti insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato. E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro
I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi l’hanno capito più di sei secoli fa – e ce lo ricordano sottolineandolo in oro.

Grazie alla pagina Facebook biologico e a Viola Graziosi.

A fine agosto è stato il compleanno del piccoletto e la sorellona per regalo gli ha comprato un film di Hayao Miyazaki: I sospiri del mio cuore (耳をすませば Mimi o sumaseba, lett. “Se tendi l’orecchio”), titolo internazionale: Whisper of the Heart. Ovviamente ogni film di Miyazaki per noi è un must, abbiamo quasi tutti quelli che sono usciti in italiano. E spesso li rivediamo assieme. Non smettiamo di emozionarci per i disegni rigorosamente fatti a mano, per i panorami acquerello e per le colonne sonore mitiche.

Che fosse un film sull’amore era evidente già dal titolo. Non ci aspettavamo fosse una vera e propria love story tra adolescenti. Deliziosa. Come sempre. Con un pizzico di mistero. Come sempre.

La cosa che per me è stata sconvolgente, anche se ai miei figli non è ovviamente apparsa tale, è stato il tema musicale centrale del film. Dai primi fotogrammi, o disegni, è partita County roads. Si. Sulle immagini di una Tokyo degli anni ottanta è partita proprio la mitica strada di John Denver. Non la versione originale, ma comunque inconfondibile. Canzone che poi diventa un plot nel film e che viene orribilmente storpiata in un adattamento nippo-italiano dalla protagonista innamorata di un ragazzo con sogni da liutaio, che decide di andare ad imparare il mestiere in Italia. Non manca nulla. Una vera soap a disegni animati. Ma Miyazaki vince sempre.

E la sorpresa tra le sorprese è stata l’infatuazione immediata del piccoletto per Country Road.

Io conservo ancora i nastri registrati da un mio boyfriend nel 1970 con le canzoni di Denver. Ero uscita da poco dalla clausura di una scuola femminile gestita da suore. Ero stata catapultata nel mondo vero, in un Istituto Tecnico in pieno fermento politico. Avevo avuto l’impatto esplosivo con l’universo maschile, con l’aggravante di essere nel fulcro dello sviluppo adolescenziale.

Ed ero stata iniziata …. alla vera musica. Ferma a Mina e ai Ricchi e Poveri avevo avuto il battesimo dei Pink Floyd, di Battisti, di Guccini e Finardi. E poi il folk americano Woody Guthrie, Pete Seeger, John Denver.

Pomeriggi interi passati ad ascoltare musica e a cantarci sopra.

Ed ora, il piccoletto, si becca Country Road storpiato da una giapponese e se ne innamora.

Il fato vuole che per il suo compleanno la sua mamma, cioè io, gli abbia regalato un walkman. Quindi ora scaricherò tutto il folk americano che conosco e invaderò le tenere orecchiucce del pargolo con le melodie che mi hanno fatto scoprire il mondo.

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