Quando ho aperto questo blog avevo deciso di mantenere un tono leggero, ironico. Di tradurre in questo senso tutte le istanze che mi hanno portato a scrivere e a rendere pubblico ciò che scrivo. Ma quando il cuore urla non si può fare ricorso a nessun interpete. Bisogna urlare.
Sul giornale di oggi il funerale di una ragazza di 16 anni dilaniata da un’esplosione. Altre cinque coetanee in ospedale, ferite in modo grave. Su tutte rimarranno i traumi, le cicatrici. Corpi adolescenti violati dal metallo e dal fuoco. E la loro vita segnata per sempre. E poco importa la matrice di questo orrore. E’ proprio loro che dovevano essere colpite, ferite, uccise, bruciate, dilaniate.
Sempre sul giornale di oggi un ragazzino di quindici anni è stato scaricato da una macchina ferito a morte da due colpi di arma da fuoco, al petto e alle gambe. Fa meno notizia. Era Rom e probabilmente stava rubando.
Ancora sul giornale di oggi. Un uomo, quarantenne, pubblicitario, depresso per aver perso il lavoro, lancia i figli dal settimo piano davanti alla moglie impietrita, prima quello di quattordici mesi poi quello di quattro, e poi si getta anche lui.
Ogni volta che attraverso il Tevere davanti a Regina Coeli non riesco a staccare lo sguardo dai tanti pupazzzi e fiori e messaggi d’amore lasciati sul ponte, nel punto dove all’inizio di febbraio un altro giovane uomo lanciò il figlio di 16 mesi nel fiume dopo averlo portato via dalle braccia della nonna.
Episodi lontani. Storie diverse, diverse cause. Ma in tutte la sconcertante brutalità di esseri che si accaniscono sui propri cuccioli. Dove sono l’istinto di conservazione della specie e il senso di protezione che tutti gli animali hanno verso i piccoli?
In questi ultimi giorni ho visto due opere di Eduardo De Filippo. Matrimonio all’Italiana, film di De Sica del 1964 tratto da Filumena Marturano, con Marcello Mastroianni-Domenico Soriano e Sofia Loren-Filumena Marturano. E poi il saggio del terzo anno degli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, che hanno portato in scena Napoli milionaria diretti da Arturo Cirillo. Filumena è una prostituta, che sopporta per venti anni i soprusi e le angherie dell’uomo che pure l’ha tolta dalla strada, ma che non ha mai ricambiato il suo amore. E sopporta tutto fino all’ultimo inganno con cui si fa sposare, solo per crescere e far studiare e poi dare un nome ai suoi tre figli.
In Napoli milionaria il Ragioniere Spasiano, pur essendo stato strozzato, privato di tutti i suoi beni per nutrire i figli durante la guerra con i traffici di borsa nera che faceva Amalia, le porta la medicina per salvare la vita della figlia piccola senza chiedere niente in cambio. Perchè sulla salute dei figli non si specula.
Era l’Italia del dopoguerra e nella società esisteva, forte, un senso di protezione verso i bambini e i ragazzi. Di tutti, anche quelli degli altri.
E’ figli non si pagano e noi dobbiamo ancora passare la nuttata.